Battaglia di Gaugamela: Alessandro contro Dario

Il 30 settembre 331 a.C., il destino di due imperi fu deciso in una pianura a 70 miglia a nord dell’attuale Irbil, in Iraq. Situata vicino al villaggio di Gaugamela, la pianura faceva parte di un vasto territorio a nord della capitale persiana di Babilonia, dove il re Dario III, noto anche come Dario Codomano, aveva radunato un esercito abbastanza formidabile, sperava, per fermare l’invasione delle terre del Mediterraneo orientale dominate dai persiani da parte delle forze macedoni. Ma il re Alessandro III, che aveva solo 25 anni e la cui reputazione lo precedeva come un tuono prima di una tempesta, condusse i suoi uomini in Asia. Per i soldati del re, la loro invasione avrebbe vendicato mezzo secolo di devastazioni inflitte alla Grecia durante le guerre persiane tra il 499 e il 448 a.C. L’ambizione personale di Alessandro, tuttavia, era quella di eclissare il grande impero persiano conquistandone le terre e portandolo sotto la sua egida.

Prima della sua invasione, un periodo di continue schermaglie e intrighi politici tra la Persia e le città-stato elleniche aveva prevalso fino all’assassinio del padre di Alessandro, re Filippo II di Macedonia, nel 336 a.C. Sebbene il responsabile dell’assassinio di Filippo non sia mai stato definitivamente determinato, molti storici considerano la sua moglie divorziata, Olimpiade, principessa dell’Epiro e madre di Alessandro, come la sospettata più probabile. L’animosità personale era prevalsa anche tra Filippo e suo figlio, che al momento del divorzio aveva favorito la madre. La sua complicità nell’omicidio del padre è comunque altamente improbabile e incoerente con il suo carattere; Alessandro incolpò pubblicamente gli agenti persiani della morte di Filippo. Una volta ereditato il regno, dopo solo un anno di conflitto armato Alessandro aveva consolidato il controllo macedone sul resto delle città-stato della Grecia. Poi organizzò una campagna che prometteva ai greci la rivincita nella conquista dei loro nemici persiani.

Lasciando il suo fidato generale Antipatro con poco più di 10.000 soldati per esercitare il controllo sulle sezioni della Grecia appena conquistate, nel 334 a.C. Alessandro attraversò l’Ellesponto con 30.000 soldati di fanteria e 5.000 di cavalleria. La resistenza che incontrò lungo la strada – a parte le truppe mercenarie persiane e greche che incontrò in battaglia – all’inizio fu minore. In breve tempo si fece una reputazione di giustizia, temperata dalla tolleranza, e di invincibilità. Ridusse il carico fiscale del popolo, usando le casse persiane delle città che catturò per costruire ponti, strade e canali di irrigazione. La popolarità della sua politica, unita alle decisive vittorie sul fiume Granico nel maggio del 334 e di nuovo a Isso nel novembre del 333, gli impose di mettere solo piccole guarnigioni nelle satrapie dell’impero persiano che si sottomettevano a lui mentre avanzava nel regno di Dario.

Può essere stato il successo di Alessandro a Isso – la sconfitta di una potente forza persiana che superava notevolmente la sua, così come la sorprendente cattura della famiglia di Dario – a contribuire alla strategia che avrebbe usato a Gaugamela. Ma perché Alessandro potesse assumere il titolo di Basileus – “Grande Re” – avrebbe dovuto catturare Dario stesso. Nelle fasi finali della battaglia a Issus, il sovrano persiano fuggì. Circa 4.000 dei suoi uomini riuscirono a fuggire, compresi circa 2.000 mercenari greci. Insieme cercarono un rifugio sicuro a Babilonia, la capitale della Mesopotamia in mano ai persiani, dove Dario sperava di raccogliere le forze, fare piani e mettere insieme un esercito più forte e capace.

Alessandro, dimostrando grande sagacia, non inseguì subito Dario. Voleva prima assicurarsi le sue conquiste sul lato orientale dell’Egeo, il che significava avere a che fare con la potente flotta persiana. Per neutralizzare quella flotta, Alessandro passò i 12 mesi successivi a Issus a conquistare i porti sulla costa asiatica occidentale. Lungo la strada reclutò tutti gli uomini pronti alla battaglia che riuscì a trovare e che erano disposti a unirsi alla sua forza di spedizione. Allo stesso tempo, in preparazione del suo attacco al trono persiano, inviò una forza di costruttori di ponti guidata dal suo confidente di sempre, Efestione, a est del fiume Eufrate per attendere la sua avanzata.

Dario non considerava sicura la presa di Alessandro sul territorio persiano, e mise in chiaro che avrebbe accettato la resa del Macedone in una lettera, affermando: “Alessandro non ha inviato alcun rappresentante alla sua corte per confermare l’antica amicizia e alleanza tra i due regni; al contrario, ha attraversato l’Asia con le sue forze armate e ha fatto molti danni ai Persiani….Ora il re Dario chiede al re Alessandro di liberare dalla prigionia sua moglie, sua madre e i suoi figli, ed è disposto a fare amicizia con lui e ad essere suo alleato.”

La risposta di Alessandro mostra che rifiuta qualsiasi forma di accomodamento con Dario:

I tuoi antenati hanno invaso la Macedonia e la Grecia e hanno causato scompiglio nel nostro paese, sebbene noi non avessimo fatto nulla per provocarli. Come comandante supremo di tutta la Grecia, ho invaso l’Asia perché volevo punire la Persia per questo atto – un atto che deve essere posto interamente a tuo carico….tuo padre è stato ucciso da assassini che, come ti sei vantato apertamente nelle tue lettere, tu stesso hai assoldato per commettere il crimine; ti sei impadronito ingiustamente e illegalmente del trono, commettendo così un crimine contro il tuo paese; hai inviato ai Greci false informazioni su di me nella speranza di renderli miei nemici; hai tentato di rifornire i Greci di denaro, i tuoi agenti hanno corrotto i miei amici e hanno cercato di distruggere la pace che avevo stabilito in Grecia – allora è stato che sono sceso in campo contro di te…. Con l’aiuto di Dio sono padrone del tuo paese. Vieni dunque da me come verresti dal signore del continente asiatico….Chiedimi di tua madre, di tua moglie e dei tuoi figli… e in futuro ogni comunicazione che vorrai fare con me sarà indirizzata al re di tutta l’Asia. Non scrivetemi come a un vostro pari. Tutto ciò che possiedi è ora mio. Se, invece, vuoi contestare il tuo trono, alzati e combatti per esso e non fuggire. Ovunque tu possa nasconderti, sii certo che ti cercherò.

Alessandro rivolse quindi le sue forze verso il porto di Tiro, nell’attuale Libano. I suoi abitanti resistettero per sette mesi, ma nell’agosto del 332 anch’essi crollarono sotto il peso della determinazione macedone. In contrasto con il trattamento che riservava alle città che si erano sottomesse più facilmente, Alessandro distrusse la maggior parte di Tiro e rese schiavi la maggior parte dei suoi abitanti per dare un esempio alle altre città che avrebbero potuto considerare di resistergli. Gaza fu assediata da settembre a novembre del 332, durante il quale Alessandro costruì un tumulo di terra alto 250 piedi con una circonferenza di base di un quarto di miglio, su cui montare catapulte e baliste. Dopo aver finalmente preso d’assalto la città, uccise il comandante della guarnigione, Belios, e trascinò il suo corpo intorno alle mura della città, come aveva fatto Achille dopo aver ucciso Ettore durante la guerra di Troia. Alessandro permise anche alle sue truppe di saccheggiare la città.

Dario inviò un’altra proposta di pace, questa volta offrendo concessioni considerevoli, compresa la somma di 10.000 talenti per il riscatto della famiglia reale, e il territorio a ovest dell’Eufrate fino al Mar Egeo. Propose loro di suggellare un’alleanza tra i due regni offrendo sua figlia in sposa ad Alessandro. Considerando i nobili costumi dell’epoca, questa era un’offerta generosa che un altro re avrebbe potuto facilmente accettare. Ma Alessandro, con un intelletto affinato dal suo vecchio maestro, il filosofo Aristotele, a quanto pare considerò il secondo tentativo di pace di Dario come una prova del crollo della determinazione del suo nemico. Rispondendo all’offerta, Alessandro negò l’interesse per il denaro e disse che non avrebbe accettato nessun territorio inferiore all’intero continente asiatico: era già suo, sosteneva, e se avesse voluto sposare la figlia di Dario, avrebbe potuto farlo senza il permesso del re.

Sul suo trono a Babilonia, un irritato Dario si preparava ancora una volta alla guerra. Nel frattempo Alessandro invase l’Egitto nel dicembre del 332 a.C., senza incontrare alcuna opposizione significativa. L’occupazione fu completa nel marzo 331, e tagliò la marina persiana fuori da tutti i suoi porti. Alessandro stabilì delle guarnigioni in Egitto, e stabilì i piani per costruire quella che sarebbe stata la città di Alessandria. Poi rivolse le sue forze, ormai riportate al numero – quasi 50.000 – che aveva comandato a Issus, a nord verso l’antica città di Thapsacus. Lì, Efestione e i suoi uomini avevano lavorato sui ponti per preparare l’attraversamento dell’Eufrate da parte di Alessandro. Ma Dario aveva notato la partenza di Alessandro dall’Egitto, e inviò Mazaeus, il satrapo di Babilonia, e circa 6.000 cavalieri per impedire il passaggio. Non volendo impegnare Mazaeus senza rinforzi, Efestione attese l’arrivo di Alessandro prima di completare la costruzione del ponte finale. Il resto delle forze macedoni arrivò tra luglio e agosto del 331 a.C. Di fronte all’intimidatoria cavalleria di Alessandro, Mazaeus riportò i suoi uomini a Babilonia e lasciò che gli invasori completassero la loro traversata senza ostacoli.

Avendo osservato il percorso dell’avanzata di Alessandro, Dario valutò le possibilità di quale potesse essere la prossima mossa del suo nemico prima di decidere la sua controstrategia. Se Alessandro avesse preso un abbaglio, come Dario sperava ardentemente, avrebbe preso la via più breve per Babilonia. Quella strada, la valle del fiume Eufrate, era una stretta e lunga striscia verde attraverso un arido deserto: nel migliore dei casi, un pezzo di terra appena sufficiente a sostenere un esercito delle dimensioni di quello di Alessandro. Gli uomini del re macedone, privi di un supporto adeguato, si sarebbero stancati durante la lunga marcia e sarebbero stati costretti a incontrare l’esercito persiano su un terreno scelto da Dario.

Invece di prendere quella strada verso sud, tuttavia, Alessandro mise gli occhi sul ricco paese sostanzialmente a est della sua posizione a Thapsacus, sull’altra sponda del fiume Tigri. Poiché uno dei principali obiettivi persiani era quello di far cadere in mani nemiche il minor numero possibile di territori imperiali, Alessandro sapeva che Dario sarebbe stato costretto a difendere quella fertile regione. Inoltre Alessandro, bivaccando in quella zona, poteva facilmente mantenere il suo esercito su quella via più lunga ma più fertile verso Babilonia.

Prendendo atto che il suo nemico macedone non avrebbe fatto il suo gioco viaggiando lungo la valle dell’Eufrate, Dario intuì che Alessandro intendeva guadare il Tigri, probabilmente a Mosul. Decise di usare la rapida corrente del fiume, che rendeva molto difficile l’attraversamento, a suo vantaggio. Il re persiano inviò degli esploratori per coprire e riferire da tutte le strade principali della Mesopotamia settentrionale. Nel frattempo fece marciare il suo esercito principale verso nord fino ad Arbela (Irbil), circa 50 miglia a est di Mosul. Da lì Dario si sarebbe affidato ai rapporti dell’intelligence per guidare la direzione della sua marcia: il suo obiettivo principale era quello di intercettare Alessandro. Diversi esploratori di Dario caddero però nelle mani dei Macedoni e, interrogandoli, Alessandro riuscì a carpire abbastanza del piano persiano da ottenere un leggero vantaggio.

Alessandro aveva infatti probabilmente intenzione di attraversare il Tigri a Mosul, ma vista la difficoltà di guadare il fiume e la prospettiva di immergere i suoi uomini in battaglia subito dopo, procedette invece più a nord, molto probabilmente da qualche parte tra Abu Dahir e Abu Wajnam, cercando un attraversamento più sicuro e due giorni di riposo. Dario non poteva sperare di portare il suo esercito più a nord per intercettare il passaggio con così poco preavviso. Invece, avendo finalmente accertato la direzione dell’avanzata macedone, scelse frettolosamente la pianura vicino a Gaugamela come campo di battaglia ragionevolmente adatto.

Un inconveniente del sito scelto era la catena di colline che si trovava a circa tre miglia a nord-est dell’area destinata alla linea persiana. Per un nemico che avanzava da quella direzione, quelle colline offrivano un comodo punto di vista da cui osservare qualsiasi movimento o alterazione nell’ordine di battaglia persiano.

Inoltre, quando decise di marciare verso Gaugamela, Dario perse l’elemento sorpresa. Ora, sparso sulla pianura sotto quello che sarebbe diventato senza dubbio il quartier generale di Alessandro, il suo esercito giaceva esposto agli avvoltoi, che potevano prenderlo prima ancora che il massacro fosse iniziato. Qualsiasi fiducia che Dario potesse avere in se stesso come comandante era ancora una volta diminuita.

Dopo una marcia di quattro giorni dalle rive del Tigri a Gaugamela, Alessandro stabilì il suo campo. Poi, dal 25 al 28 settembre, i suoi uomini recuperarono le forze mentre Alessandro incontrava i suoi generali. Cosa accadde in quei consigli segreti può essere solo intuito. Nessun documento storico è stato trovato su come il re macedone pianificasse le sue offensive.

La quarta notte, Alessandro mosse i suoi uomini in ordine di battaglia, progettando di affrontare i persiani all’alba. A tre miglia di distanza dal campo, tuttavia, ordinò un’altra sosta, rischiando una perdita di morale tra le truppe la cui adrenalina era stata portata a un livello di combattimento. Quando il sole sorse su Gaugamela, il ragionamento di Alessandro divenne evidente. I suoi soldati furono in grado di vedere per la prima volta il vasto numero di guerrieri che avevano di fronte. Molti degli ufficiali di Alessandro mostrarono la loro incrollabile fiducia nel loro comandante, proponendo un assalto immediato. Ma il principale generale di Alessandro, Parmenione, raccomandò un altro giorno di riposo e di ricognizione.

Alessandro accettò. Ordinò che il campo fosse nuovamente allestito, poi passò la giornata a ispezionare sia il campo di battaglia, che era stato livellato per accogliere la cavalleria e i carri di Dario, sia la disposizione delle forze persiane. Le ali destra e sinistra dello schieramento di Dario erano prevalentemente cavalleria, mescolata ad arcieri e fanteria. Al centro, e a proteggere Dario nelle retrovie, c’erano la sua speciale cavalleria mercenaria greca e le sue guardie reali a piedi e a cavallo, a volte chiamate “portatori di mele” per via delle mele dorate sulle loro punte di lancia. Inoltre, Dario aveva radunato un contingente di fanteria di nazionalità mista che, è stato ipotizzato, erano molto probabilmente uomini non addestrati convocati frettolosamente dalle colline. Essi aumentavano il numero di uomini di Dario, ma restava da vedere quale sarebbe stato il loro contributo alla difesa del loro re. L’intera linea persiana era fronteggiata da circa 200 carri a falce, così chiamati per i coltelli simili a falci che sporgevano dalle loro ruote. Un piccolo numero di elefanti asiatici incombeva sull’esercito persiano.

Il numero totale dell’esercito persiano è stato stimato dagli storici da 200.000 a un implausibile milione. Per Alessandro, i numeri precisi facevano poca differenza. Anche secondo la stima più conservativa, egli era grossolanamente in inferiorità numerica. Il suo piano di battaglia avrebbe dovuto essere brillante. Ha trascorso la maggior parte di quella notte non nel sonno, ma nel forgiare quel piano. Il fattore più critico era che la cavalleria di Alessandro, la forza di combattimento così importante per lui che contava circa 7.000 unità, affrontava circa 34.000 cavalieri persiani. Piuttosto che essere scoraggiato da tali probabilità, Alessandro tracciò una strategia destinata ad essere emulata da generali successivi come Napoleone Bonaparte.

A un certo punto, nelle ore piccole, il generale Parmenione venne da lui, proponendo un attacco notturno all’ignaro nemico. Oltre all’ovvia difficoltà di mantenere la coerenza delle sue forze di notte, Alessandro diede a Parmenione una ragione più personale per rifiutare tale azione furtiva: “Non mi umilierò rubando la vittoria come un ladro. Alessandro deve sconfiggere i suoi nemici apertamente e onestamente”. Tuttavia, quella notte, credendo che le truppe di Alessandro si stessero muovendo in formazione di battaglia, Dario ordinò ai suoi uomini di armarsi. Aspettando la notte nel timore dell’attacco furtivo contro cui Alessandro aveva deciso, le truppe di Dario sprecarono energie di cui avrebbero avuto bisogno al mattino.

Al sorgere del sole del 30 settembre, Alessandro fece un breve discorso ai suoi ufficiali. Non avevano bisogno di discorsi che li ispirassero, dichiarò – avevano il loro coraggio e il loro orgoglio a sostenerli. Chiese loro di ricordare che non stavano combattendo solo per l’Asia Minore o l’Egitto, ma per la sovranità su tutta l’Asia. Poi condusse il suo esercito in avanti, facendo seguire la linea principale dietro di lui ad un angolo obliquo di circa 30 gradi. Il fianco destro, schermato da una piccola unità di cavalleria di 600 mercenari al comando del generale Menida, era composto da due linee parallele di fanteria, una linea di cavalleria tracia, arcieri macedoni e “vecchi mercenari” (così chiamati perché avevano servito nella sua campagna fin dall’inizio).Verso il centro c’erano i giavellotti accanto alla Guardia Reale di Alessandro e la sua cavalleria di compagnia, comandata da Filotea. Armati principalmente con lo xiston, una versione abbreviata della sarissa della fanteria, i Compagni erano divisi in otto squadroni e combattevano in una formazione a cuneo o triangolare, un’innovazione accreditata a Filippo II.

Il padre di Alessandro aveva anche migliorato la falange macedone, già quasi impenetrabile, armando i suoi opliti, o fanteria pesante, con sarisse di oltre 4 metri di lunghezza. Ora, dato che le loro sarisse erano state estese a 61,2 metri sotto il governo di Alessandro, la falange era il centro del fronte macedone. Un’unità di uomini profonda più spesso 16, le sue lance si estendevano molto più lontano delle spade del nemico, dandole grande forza nell’attacco. I fianchi della falange erano protetti da circa 3.000 truppe appositamente addestrate per questo compito, chiamate gli aiutanti reali. A Gaugamela, Alessandro aveva un totale approssimativo di 12.000 uomini nei suoi battaglioni della falange, supportati dalle retrovie da altri 12.000 soldati a piedi, la maggior parte dei quali erano frombolieri e giavellotti. Ogni squadrone tessalico formava un’unità tattica disposta in formazione romboidale o a diamante, il cui compito principale era quello di tenere ferma l’ala sinistra. Ancora, la cavalleria proteggeva i fianchi di una forza di mercenari. Nel complesso, la fanteria di Alessandro contava circa 40.000 unità. I suoi soldati a piedi erano protetti dalla cavalleria, così che la sua linea appariva molto più debole di quanto non fosse – una disposizione intenzionale.

Mentre Alessandro marciava, offriva a Dario l’allettante esca di un fianco destro macedone più corto contro una sinistra persiana più lunga. Tuttavia, i persiani rimasero fermi, e mentre Alessandro continuava a estendere la sua linea, minacciava di spostare la battaglia dal terreno appositamente preparato per le manovre della cavalleria e dei carri. Divenne una gara di nervi. Dario, nel frattempo, continuava a muovere il suo fronte a sinistra per eguagliare il movimento di Alessandro. Infine, ordinò alla cavalleria più importante della sua ala sinistra di entrare in azione per fermare la marcia di Alessandro. La cavalleria di Menida, in inferiorità numerica, alzò le sue grida di guerra e caricò. Ma l’intenzione del loro attacco era di attirare, e quindi di impegnare irrimediabilmente, l’ala sinistra persiana. Con la stessa velocità con cui avanzavano, i mercenari finsero di essere intimiditi dal numero di Dario e interruppero il loro attacco. La sinistra persiana inseguì vigorosamente, senza aspettarsi le decine di fanterie in attesa dietro la destra macedone.

Dario chiamò allora il suo prossimo colpo. Il corpo principale della cavalleria, una forza combattente di circa 8.000 uomini comandata da suo cugino Bessus, tuonò all’assalto. Lama contro lama, mentre la fanteria greca schivava la cavalleria e assorbiva la forza di un numero significativo dei migliori di Dario. Le probabilità contro la cavalleria della compagnia di Alessandro, ancora in attesa del suo momento, furono così ridotte. Nel frattempo, Dario lanciò i suoi carri a falce e mandò in azione i suoi elefanti. Alessandro schierò i suoi giavellotti, i cui missili uccisero o disabilitarono la maggior parte dei conducenti dei carri prima che avessero la possibilità di infliggere qualsiasi danno. Per quanto intimidatori per dimensioni, gli elefanti fecero poco più che creare un livello gestibile di caos e interferenza: la maggior parte delle truppe di Alessandro si limitò a dividere i ranghi e a lasciar passare le bestie in carica.

Tuttavia, Dario doveva sentirsi sicuro di sé. Gli elefanti erano un esperimento. I carri, sebbene avessero fallito in altri scontri, valevano un altro tentativo. Ma l’ala destra macedone era pesantemente impegnata. Dario ordinò un’avanzata generale, riversando più uomini nel caos alla sua sinistra. Alla sua destra, la cavalleria di Mazaeus era scatenata contro la cavalleria e la falange di Parmenione. Senza saperlo, Dario stava riducendo ulteriormente le probabilità contro i compagni di Alessandro, che ancora aspettavano di lanciare la loro carica decisiva contro Dario e le sue guardie reali. In aggiunta a questo fatto, si stava sviluppando una situazione imbarazzante vicino alla giunzione del centro persiano e dell’ala sinistra persiana. Mentre gli uomini si riversavano sull’ala destra macedone e la lotta lì si intensificava, la linea di battaglia si estendeva ancora di più a sinistra, assottigliando e quindi indebolendo il fronte persiano.

A quel punto, l’unica cavalleria persiana ancora non impegnata nella battaglia era quella più o meno di fronte ad Alessandro e ai suoi compagni. Quelli erano i più importanti per Alessandro da ingaggiare personalmente: i parenti e le guardie di Dario e il re stesso. I persiani avevano sacrificato la profondità nel processo di estensione della loro linea nel tentativo di mantenere il loro fronte continuo. I Compagni erano ora pronti a schiantarsi tra le fila persiane. Alessandro raccolse le sue forze ancora disponibili in un cuneo gigantesco. Sulla punta di questo cuneo c’era la Guardia Reale e la Cavalleria dei Compagni. A sinistra c’erano i rimanenti battaglioni della falange; a destra c’erano la fanteria e gli arcieri traci e i giavellotti che erano stati precedentemente schierati contro i carri.

Attraverso la polvere che si alzava dal conflitto, Dario vide Alessandro e la sua temuta cavalleria emergere in un ordine quasi perfetto. Con l’assistenza della sua falange, Alessandro respinse la linea persiana in direzione di Dario, minacciandolo sia sul fianco che sul retro. Senza dubbio Dario sperava che l’assalto di Alessandro sarebbe stato fermato dalla sua stessa guardia reale e da circa 3.000 uomini di fanteria, ma le guardie di Dario furono rapidamente sopraffatte dal puro slancio della forza combattente macedone. Il lato sinistro del potente cuneo di Alessandro divenne una rete di draghetti il cui obiettivo finale era la cattura del re persiano.

Un piccolo varco si creò nella linea di Alessandro quando sfondò la linea persiana, permettendo a Dario di inviare uno squadrone di cavalleria persiana e indiana per colpire il treno dei bagagli macedone, ma furono sconfitti dalla fanteria leggera tracia e dalle truppe di rinforzo della falange di riserva di Alessandro. Altri due squadroni di cavalleria dell’ala destra persiana girarono intorno alla battaglia nel tentativo di raggiungere il campo di Alessandro e liberare la famiglia reale persiana. Anche se crearono un certo scompiglio, i soccorritori non ebbero successo, uccisi o cacciati dai frombolieri e dai giavellotti macedoni.

Bessus stava ancora combattendo la destra macedone quando vide i compagni sfondare la linea persiana. Probabilmente temendo la possibilità che Alessandro rivolgesse queste forze verso la sinistra persiana, già pesantemente impegnata, ordinò una ritirata. I persiani cominciarono a ritirarsi, ma furono inseguiti e massacrati mentre fuggivano.

Nel centro si sviluppò un’intensa lotta mentre la strategia di Alessandro cominciava ad avere successo. Dario si rese conto che la battaglia era fuori controllo e, proprio come aveva fatto a Issus, abbandonò il suo esercito. Dietro di lui, la sua fanteria e la guardia reale combatterono disperatamente per le loro vite. Riuscirono a sfondare le forze macedoni accerchianti e a seguire il loro re. A quel punto, Alessandro si voltò per assistere Parmenione, ma incontrò una grande forza di Persiani e Indiani, con conseguente combattimento più pesante della battaglia e la morte di 60 dei suoi compagni. Questa azione, tuttavia, alleviò l’ala sinistra macedone, e la cavalleria tessalica di Parmenione riuscì a battere gli avversari. Questo a sua volta permise alla cavalleria dei compagni di Alessandro di respingere le forze persiane che si trovavano di fronte. Il risultato finale fu il panico e la disfatta del resto dell’esercito di Dario.

Furioso perché, nonostante la vittoria sul campo di battaglia, non era riuscito a catturare il re persiano, Alessandro ordinò a 500 cavalieri di accompagnarlo mentre iniziava un implacabile inseguimento di Dario in fuga. Dario corse a nord verso il passo delle porte del Caspio con circa 30.000 fanti, una tesoreria esaurita e una manciata di assistenti personali. Aveva sperato di incontrare dei rinforzi, ma questi non si materializzarono. Mentre la sua situazione diventava sempre più disperata, fu tradito dai suoi stessi comandanti. Uno dei capi della sua cavalleria, Nabarzanes, complottò con Bessus, spingendolo ad assumere il trono. Durante la notte i traditori calcolarono come liberarsi di Dario e poi rinnovare la guerra con la Macedonia. Sebbene fosse stato avvisato, un disperato Dario si lasciò portare via la notte successiva su un carro comune. Resistere sarebbe stato inutile: il sovrano stanco non aveva conservato la lealtà del suo esercito a sufficienza per impedire il suo assassinio.

Intanto Alessandro lo seguiva a ruota, percorrendo 400 miglia in 11 giorni. Due nobili persiani disposti ad aiutare cavalcarono fino al luogo dove i macedoni erano accampati. Prima che Alessandro arrivasse nel luogo dove era stato Dario, però, Bessus aveva pugnalato a morte suo cugino, poi era fuggito nella notte. Quando Alessandro lo trovò, il re persiano aveva esalato l’ultimo respiro. In un gesto rispettoso, Alessandro lo coprì con il suo mantello, poi mandò il corpo del re a sua madre, Sysgambis, per una degna sepoltura nella città di Persepoli.

Dal punto di vista tattico, Alessandro era uscito vincitore schiacciante da Gaugamela, un successo che può essere attribuito a diversi fattori. Tra i più importanti c’era il fatto che le sue truppe avevano un morale superiore, non solo per la loro serie di successi militari, ma anche per gli stretti legami di lealtà che avevano sviluppato con il loro comandante. Al contrario, l’esercito di Dario era un miscuglio di nazionalità, con molti soldati che erano rimasti in armi per tutta la notte precedente. Combatterono con molta meno determinazione contro una forza meglio disciplinata, addestrata ed equipaggiata di loro.

Nel secolo precedente le invenzioni militari macedoni – in particolare la falange – avevano trasformato l’esercito macedone in un ottimo strumento di guerra. Ma sotto un generale meno talentuoso, l’esercito avrebbe comunque potuto essere sopraffatto dal puro peso dei numeri persiani. Il superiore giudizio tattico di Alessandro, aggiunto alla sua capacità di vagliare rapidamente i rapporti e dedurre gli eventi mentre si svolgevano nel caos della battaglia, gli permise di superare i numeri superiori con perdite minime. Alessandro affermò in seguito che circa 500 dei suoi uomini furono uccisi a Gaugamela e circa 5.000 feriti, mentre la stima più prudente (e forse meno esagerata) dei morti persiani fu di 40.000.

In termini strategici, non c’è dubbio che l’esito della battaglia abbia cambiato il corso della storia. Come risultato della vittoria di Alessandro a Gaugamela, l’Asia occidentale sarebbe rimasta sotto la sovranità ellenica nei secoli successivi. Gran parte del mondo sarebbe stata influenzata e largamente plasmata dalle amenità dell’educazione, della letteratura, dell’arte e della scienza della Grecia classica.

Una campagna, una vittoria, un uomo ha realizzato tutto questo.

Per ulteriori letture, l’autore del Colorado Stormie Filson raccomanda: La campagna di Gaugamela, di E.W. Marsden; e La natura di Alessandro, di Mary Renault.

Questo articolo è apparso originariamente nel numero di ottobre 2000 della rivista Military History. Per altri grandi articoli, abbonatevi oggi stesso alla rivista Military History!