Cicerone

L’alleanza con il Primo Triumvirato

Alla fine del 60, Cicerone rifiutò l’invito di Cesare a unirsi all’alleanza politica di Cesare, Crasso e Pompeo, il cosiddetto Primo Triumvirato, che considerava incostituzionale, e anche l’offerta di Cesare nel 59 di un posto nel suo staff in Gallia. Quando Publio Clodio, che Cicerone si era inimicato parlando e testimoniando contro di lui quando fu processato per bestemmia all’inizio del 61, divenne tribuno nel 58, Cicerone era in pericolo, e a marzo, deluso dal rifiuto di Pompeo di aiutarlo, fuggì da Roma. Il giorno seguente Clodio portò una legge che proibiva l’esecuzione di un cittadino romano senza processo. Clodio fece poi passare una seconda legge, di dubbia legalità, che dichiarava Cicerone un esule. Cicerone andò prima a Tessalonica, in Macedonia, e poi in Illirico. Nel 57, grazie all’attività di Pompeo e in particolare del tribuno Tito Annio Milo, fu richiamato il 4 agosto. Cicerone sbarcò a Brundisium (Brindisi) quel giorno e fu acclamato lungo tutto il suo percorso verso Roma, dove arrivò un mese dopo.

Nell’inverno 57-56 Cicerone tentò senza successo di allontanare Pompeo da Cesare. Pompeo ignorò il consiglio di Cicerone e rinnovò il suo patto con Cesare e Crasso a Luca nell’aprile del 56. Cicerone allora accettò, sotto la pressione di Pompeo, di allinearsi con i tre in politica, e si impegnò per iscritto in tal senso (il “palinode”). Il discorso De provinciis consularibus (Sulle province consolari) segnò la sua nuova alleanza. Fu costretto ad accettare una serie di difese sgradevoli, e abbandonò la vita pubblica. Negli anni successivi completò il De oratore (55; Sull’oratore) e il De republica (52; Sulla Repubblica) e iniziò il De legibus (52; Sulle leggi). Nel 52 si rallegrò quando Milo uccise Clodio, ma fallì disastrosamente nella sua difesa di Milo (scritta in seguito per la pubblicazione, il Pro Milone, o Per Milo).

Nel 51 fu convinto a lasciare Roma per governare la provincia di Cilicia, nell’Anatolia meridionale, per un anno. La provincia si aspettava un’invasione partica, che però non si materializzò mai, anche se Cicerone soppresse alcuni briganti sul monte Amanus. Il Senato concesse una supplicatio (un periodo di ringraziamento pubblico), anche se Cicerone aveva sperato in un trionfo, un ritorno in processione attraverso la città, al suo ritorno a Roma. Tutti ammisero che aveva governato la Cilicia con integrità.

Quando Cicerone tornò a Roma, Pompeo e Cesare stavano lottando l’uno contro l’altro per il potere assoluto. Era alla periferia di Roma quando Cesare attraversò il Rubicone e invase l’Italia nel gennaio 49. Cicerone incontrò Pompeo fuori Roma il 17 gennaio e accettò l’incarico di supervisionare il reclutamento in Campania. Tuttavia non lasciò l’Italia con Pompeo il 17 marzo. La sua indecisione non era screditabile, anche se le sue critiche alla strategia di Pompeo erano inesperte. In un colloquio con Cesare il 28 marzo, Cicerone mostrò grande coraggio nel dichiarare le proprie condizioni – la sua intenzione di proporre al Senato che Cesare non dovesse proseguire la guerra contro Pompeo – sebbene fossero condizioni che Cesare non avrebbe potuto accettare. Cicerone disapprovava la dittatura di Cesare; tuttavia si rendeva conto che nella successione delle battaglie (che continuarono fino al 45) sarebbe stato una delle prime vittime dei nemici di Cesare, se avessero trionfato. Questo fu il suo secondo periodo di intensa produzione letteraria, le opere di questo periodo includono il Brutus, Paradoxa Stoicorum (Paradossi degli stoici), e Orator (L’oratore) nel 46; De finibus (Sul bene supremo) nel 45; e Tusculanae disputationes (Disputazioni toscane), De natura deorum (Sulla natura degli dei), e De officiis (Sui doveri), finiti dopo l’omicidio di Cesare, nel 44.