Una breve storia dell’infallibilità papale
Nel novembre 1874, William Ewart Gladstone, l’ex primo ministro del Regno Unito che era destinato a occupare quell’alto ufficio altre tre volte nella sua lunga carriera politica, pubblicò un pamphlet dall’inquietante titolo “I decreti del Vaticano nel loro rapporto con la fedeltà civile.”
Un anglicano con opinioni religiose intensamente tenute, anche se spesso mutevoli, Gladstone criticò aspramente ciò che il recente concilio ecumenico della Chiesa cattolica aveva insegnato sull’infallibilità papale e suggerì di sollevare dubbi sulla fedeltà dei cattolici alla Corona britannica. Il pamphlet vendette più di 150.000 copie prima della fine dell’anno e fu presto seguito da un secondo pamphlet che difendeva il primo e rispondeva ai suoi critici.
Uno dei critici più importanti fu padre John Henry Newman, un convertito dall’anglicanesimo al cattolicesimo che anni dopo fu nominato cardinale (e recentemente santo). Egli rispose a Gladstone in un pezzo vigorosamente scritto chiamato “Una lettera al Duca di Norfolk” (il duca era un membro cattolico di rango dell’establishment britannico nell’Inghilterra vittoriana). Oggi la lettera è ancora un modello di apologetica cattolica.
Prima che il Concilio Vaticano I e Papa Pio IX definissero formalmente la dottrina dell’infallibilità papale, Newman aveva temuto che i tempi non fossero maturi per farlo. Di fronte all’attacco di Gladstone, tuttavia, egli saltò in difesa della dottrina. Proprio come la Chiesa è divinamente preservata dall’errore negli elementi fondamentali della sua fede, sosteneva, così è il suo maestro supremo, il papa: “Tale dunque è … l’infallibilità della Chiesa, tale sarà anche l’infallibilità del papa, come l’hanno definita i Padri Vaticani.”
Oggi, 150 anni dopo il Concilio Vaticano I, questi eventi meritano di essere ricordati per il loro interesse e per la luce che gettano su questioni che la Chiesa deve ancora affrontare. Cos’è l’infallibilità? Cosa significa dire che il papa ha insegnato qualcosa infallibilmente? Qual è la portata dell’infallibilità papale e quali sono i suoi limiti?
Definizione dell’infallibilità
L’idea dell’infallibilità papale era stata ampiamente accettata nella Chiesa per secoli prima del Vaticano I. Tra coloro che la sostenevano c’erano giganti teologici come San Tommaso d’Aquino nel XIII secolo e San Roberto Bellarmino nel XVII secolo. Pio IX, papa dal 1846 al 1878, ne parlò subito dopo la sua elezione a papa in un’enciclica chiamata Qui Pluribus. Il papato, scrisse, è stato istituito da Dio “per stabilire e insegnare il vero e legittimo significato della sua rivelazione celeste e per giudicare infallibilmente tutte le controversie che riguardano questioni di fede e di morale” (Qui Pluribus, n. 10).
Nel 1854, Pio IX invocò l’infallibilità nel definire – cioè nell’insegnare formalmente come qualcosa di rivelato da Dio e da tenere come questione di fede – il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Significativamente, ha consultato i vescovi del mondo prima di emettere questa definizione, e la grande maggioranza ha risposto favorevolmente. Poi, in un documento pubblicato l’8 dicembre 1854, festa dell’Immacolata Concezione, il papa disse: “Noi dichiariamo, pronunciamo e definiamo” – una formula che identifica chiaramente ciò che seguì come insegnamento infallibile – la dottrina che Maria dal momento della sua concezione fu “preservata immune da ogni macchia del peccato originale”. Questa verità, aggiunse, era “rivelata da Dio e … fermamente e costantemente deve essere creduta da tutti i fedeli.”
Gli anni che seguirono non furono facili per Papa Pio. Arrivato in carica come un papa moderato e riformatore, fu costretto a un atteggiamento sempre più conservatore da eventi che includevano la presa dello Stato Pontificio da parte del movimento nazionalista italiano, largamente anticlericale (molti dei cui leader erano massoni); l’assassinio di uno dei suoi più stretti consiglieri, il cui funerale fu interrotto e il suo corpo gettato nel fiume Tevere; e una rivolta a Roma che lo costrinse a fuggire per salvarsi, ritornando solo sotto la protezione delle truppe francesi.
Ritornato alla sede di Pietro, scrive lo storico James Hitchcock, Pio IX d’ora in poi considerò molte delle idee e dei movimenti dell’età moderna con “disgusto sfrenato”. Nel 1864 – ancora una volta l’8 dicembre – questa visione negativa della modernità trovò espressione in un’enciclica intitolata Quanta Cura e soprattutto in un lungo documento allegato ad essa chiamato “Sillabo degli errori”.
Papa Pio IX
Il “Sillabo” (o riassunto) era una raccolta di 80 proposizioni che il papa condannava. I loro argomenti andavano dal panteismo, dal naturalismo e dal razionalismo assoluto, attraverso il socialismo, il comunismo e le società segrete, fino agli errori relativi al matrimonio cristiano. L’ultima – e come la storia ha dimostrato, la più famosa – delle 80 proposizioni era questa: “Considerando i contenuti del “progresso, del liberalismo e della cultura moderna” come Pio IX li aveva sperimentati e ora condannati nelle precedenti 79 proposizioni, è difficile capire che qualcuno avrebbe potuto aspettarsi che lui si “riconciliasse e adattasse” ad essi. Ma quasi senza eccezione la risposta secolare alla Quanta Cura e al “Sillabo degli Errori” fu un coro di derisioni e grida di sdegno. I documenti furono pubblicamente bruciati in alcuni luoghi, mentre in Francia i vescovi furono minacciati di arresto se avessero fatto leggere le parole del papa dal pulpito.
Insegnamenti dal Catechismo
Il Catechismo continua dicendo che è compito dell’autorità docente preservare il popolo di Dio da “deviazioni e defezioni” e rendere così possibile per loro di professare la Fede “senza errore”. A questo scopo, aggiunge, Cristo conferisce al papa e ai vescovi “il carisma dell’infallibilità in materia di fede e di morale”
Il Catechismo prosegue citando il Concilio Vaticano II sull’infallibilità del papa e dei vescovi che insegnano in unione con lui, “soprattutto in un concilio ecumenico”. I membri della Chiesa hanno il dovere di aderire a tale esercizio dell’infallibilità “con l’obbedienza della fede”, dice (CCC, nn. 889-891).
Posizioni contrarie
Questo dipinto del Concilio di Trento si trova nel Museo del Palazzo del Buonconsiglio. Laurom/Wikimedia Commons
Pius IX non era un uomo che si tira indietro. Ora cominciò a considerare la possibilità di convocare un concilio ecumenico – una riunione dei vescovi del mondo – per la prima volta dal Concilio di Trento del XVI secolo. Man mano che la pianificazione procedeva, divenne chiaro che in cima all’agenda del concilio ci sarebbe stata l’autorità papale, compresa l’infallibilità del papa.
La maggior parte dei vescovi non aveva problemi con questo. Ma alcuni lo fecero, specialmente i vescovi in Francia, Germania e Austria-Ungheria. In alcuni ambienti si parlò addirittura di cercare di far intervenire i governi secolari per impedire che il concilio avesse luogo. Due francesi, l’arcivescovo Georges Darboy di Parigi e il vescovo Felix Dupanloup di Orleans, insieme al vescovo Joseph Strossmayer di Djakovo, nell’Impero austro-ungarico, che lo storico Owen Chadwick chiama “una personalità più grande della vita” e la figura principale dell’opposizione.
Con il passare del tempo, emerse anche un altro gruppo – i cosiddetti “inopportunisti” che accettavano l’idea dell’infallibilità in linea di principio, ma sostenevano che non era il momento per una definizione formale della dottrina – soprattutto perché si trovava di fronte a troppa opposizione nei circoli non cattolici. In Inghilterra, Newman era uno di questi.
Cardinale Henry Edward Manning
Ma l’arcivescovo, poi cardinale, Henry Edward Manning di Westminster, come Newman un convertito dall’anglicanesimo, fu un importante sostenitore della definizione dell’infallibilità papale. E, come questo suggerisce, ancora un altro gruppo di cattolici guardava con gioia alla prospettiva di una definizione. Questi erano gli ultramontanisti, persone abituate a cercare una guida in questioni religiose “oltre le montagne” (cioè le Alpi) a Roma. Il loro atteggiamento fu riassunto da uno spirito che disse che sarebbe stato contento di ricevere ogni mattina una nuova dichiarazione papale insieme alla sua copia del London Times.
E così fu preparato il terreno per il Vaticano I. Il concilio si aprì alla fine del 1869 – la data, ancora una volta, era l’8 dicembre – con più di 700 dei 1.000 vescovi della Chiesa presenti.
Anche se il numero in seguito scese a circa 600, il Vaticano I fu il più grande concilio della Chiesa fino a quel momento. Gli europei costituivano circa due terzi dell’assemblea. Ma riflettendo l’espansione geografica del cattolicesimo nei tre secoli precedenti, c’erano 67 vescovi dagli Stati Uniti e dal Canada, 21 dall’America Latina, 15 ciascuno dalla Cina e dall’India, e 18 dall’Australia e dal Pacifico.
Sulla questione centrale davanti a loro, Owen Chadwick scrive che la maggioranza non aveva obiezioni a dichiarare il papa infallibile poiché la dottrina era “così ampiamente creduta nella Chiesa e aveva alle spalle una tradizione storica”. Gli oppositori erano circa 150, compresi sia gli inopportuni che coloro che semplicemente non accettavano l’idea come vera.
Vaticano I fu anche l’occasione per qualcosa di nuovo nella storia dei concili ecumenici: sforzi determinati da entrambe le parti per influenzare l’opinione pubblica attraverso le fughe di notizie dei media.
Trent era stato un affare aperto. Al contrario, gli organizzatori del Vaticano I tentarono di mantenere segrete le sue delibere. Questo era irrealistico fin dall’inizio, poiché non c’era modo di nascondere ciò che avveniva in una riunione di sei o settecento vescovi impegnati a discutere questioni di sostanziale interesse pubblico al grande corpo della stampa riunito per raccontare l’evento. Ma anche così un’improvvisa esplosione di notizie pubblicate all’interno del Concilio fu una spiacevole sorpresa per il Vaticano.
Un’incisione che raffigura il Concilio Vaticano I nel 1869. Pubblico dominio
Risultato e fine del concilio
Ben presto anche le fughe di notizie assunsero un taglio decisamente ideologico, rappresentando visioni opposte dell’agenda del Vaticano I e, soprattutto, dell’infallibilità papale.
Lord John Acton
Questo sviluppo iniziò con Lord John Acton, un cattolico liberale britannico di 36 anni, nato bene, che aveva studiato storia a Monaco con l’eminente storico liberale della Chiesa Padre Johannes Dollinger. Acton raccolse informazioni da vescovi francesi, tedeschi e inglesi contrari all’infallibilità e le trasmise a Dollinger in una serie di lettere, che lo storico pubblicò in un periodico tedesco con il titolo “Lettere da Roma sul Concilio di Quirino”. Il risultato, dice Chadwick, “diede all’Europa l’immagine di una maggioranza senza scrupoli che tiranneggiava sulle menti e sulle coscienze.”
Ma Papa Pio non era stupido. Vedendo cosa stava succedendo, incaricò un monsignore che era presente al concilio di fornire un resoconto ad un giornalista francese altamente conservatore di nome Louis Veuillot. I risultati, nelle mani di Veuillot, apparvero in rapporti che denunciavano costantemente la minoranza anti-infallibilità mentre sostenevano la maggioranza pro-infallibilità. Il progetto di Acton plasmò la sofisticata visione europea del Vaticano I, mentre quello di Veuillot raggiunse un pubblico diverso ma non meno importante: Il clero francese e italiano e i laici conservatori che furono spinti a interrogare i loro vescovi sul loro sostegno all’infallibilità del papa.
Alla fine, la questione per il concilio non era se sostenere l’infallibilità papale ma come formulare il ruolo del papa – come portavoce di un concilio ecumenico o come maestro supremo della Chiesa che esercita la propria autorità per definire la fede. La formulazione relativamente moderata del Vaticano I si trova in una costituzione dogmatica intitolata Pastor Aeternus (“Il pastore eterno”).
Questa costituzione afferma: “E così, attenendoci fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, noi, con l’approvazione del sacro concilio, insegniamo e definiamo che esso è un dogma rivelato da Dio:
“Che il romano pontefice, quando parla ex cathedra – cioè quando agisce nell’ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani – definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica, una dottrina riguardante la fede o la morale che deve essere tenuta dalla Chiesa universale, possiede per la divina assistenza promessagli nel beato Pietro l’infallibilità di cui il Divino Redentore ha voluto che la sua Chiesa fosse dotata nel definire la dottrina riguardante la fede o la morale; e che tali definizioni del romano pontefice sono perciò irreformabili di per sé, non per il consenso della Chiesa.”
Il concilio adottò la Pastor Aeternus con un voto di 533 a 2 il 18 luglio 1870. Prima del voto, 56 vescovi della minoranza lasciarono Roma per non dover votare il documento. Uno dei due voti negativi fu espresso da un americano, il vescovo Edward Fitzgerald di Little Rock, Arkansas, che dopo la votazione si sarebbe inginocchiato davanti a Pio IX e avrebbe detto: “Modo credo, sancte pater” – “Ora credo, Santo Padre.”
Non appena il consiglio ebbe preso il suo voto cruciale, scoppiò la guerra franco-prussiana. La guarnigione francese a Roma fu ritirata per combattere i prussiani, i vescovi si affrettarono a tornare a casa e il concilio ecumenico fu sospeso, per non essere mai più riunito. L’esercito nazionalista italiano entrò presto in città e la rivendicò per lo stato italiano. Papa Pio IX si ritirò quindi dietro le mura del Vaticano, dichiarandosi “il prigioniero del Vaticano” – un titolo che lui e i suoi quattro immediati successori avrebbero rivendicato per il successivo mezzo secolo. Pio IX fu beatificato da Papa San Giovanni Paolo II nel 2000.
Il Concilio Vaticano II
Negli anni successivi al Vaticano I, la statura e l’autorità morale del papato crebbero notevolmente, ma solo un papa, Pio XII, invocò formalmente il potere dell’infallibilità papale. L’occasione fu la definizione del dogma dell’Assunzione. Più di 200 vescovi l’avevano richiesto al Concilio Vaticano I, e Papa Pio XII ha consultato i vescovi di tutto il mondo prima di fare questo passo. Poi, il 1° novembre 1950, dichiarò “dogma divinamente rivelato” che la Vergine Maria, “avendo completato il corso della sua vita terrena, fu assunta corpo e anima nella gloria celeste” (Munificentissimus Deus, No. 44)
Così stavano le cose fino al Concilio Vaticano II del 1962-65. Riprendendo da dove il Vaticano I aveva lasciato, il centro teologico del Vaticano II fu la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium (“La luce dei popoli” – cioè Cristo). Nella sezione 25 il concilio riafferma l’infallibilità del papa quando definisce una dottrina di fede e morale, aggiungendo che tali esercizi di infallibilità papale non richiedono “l’approvazione di altri” e non possono essere appellati.
Papa Giovanni XXIII guida la sessione di apertura del Concilio Vaticano II nella Basilica di San Pietro in Vaticano l’11 ottobre 1962. CNS photo/Giancarlo Giuliani, Catholic Press Photo
In quella stessa sezione, il Vaticano II dice anche qualcos’altro: “L’infallibilità promessa alla Chiesa è presente anche nel corpo dei vescovi quando, insieme al successore di Pietro, esercitano il supremo ufficio di insegnamento”. Questo lo fanno, dichiara la Lumen Gentium, sia quando definiscono una dottrina insieme al papa in un concilio ecumenico, sia quando, dispersi per il mondo ma in unione tra loro e con il papa, insegnano, come parte del loro “magistero ordinario” (autorità di insegnamento), che qualcosa è “da ritenersi definitivamente e assolutamente.”
Espandendo questo, il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 1992 dall’autorità di Papa San Giovanni Paolo II, dice:
“Il grado supremo di partecipazione all’autorità di Cristo è assicurato dal carisma dell’infallibilità. Questa infallibilità si estende fino al deposito della Rivelazione divina; si estende anche a tutti quegli elementi della dottrina, compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere conservate, spiegate o osservate” (n. 2035)
Potenzialmente, questo apre un’area completamente nuova per l’esplorazione teologica: Quale dottrina o quali dottrine sono già state infallibilmente insegnate – vengono insegnate ora – dal magistero ordinario dei vescovi del mondo in unione con il papa? È questo il caso, per esempio, di cose come gli insegnamenti sull’aborto e la contraccezione? Quando è prudente dichiarare tale insegnamento infallibile e quando, probabilmente, non lo è?
I teologi, si potrebbe dire, hanno il loro lavoro da fare.
Russell Shaw è un redattore che contribuisce al nostro Sunday Visitor.
St. John Henry Newman
Nella sua classica opera di apologetica “A Letter to the Duke of Norfolk”, il padre – poi cardinale e ora santo – John Henry Newman è attento a collocare l’infallibilità del papa all’interno del carisma, o dono, dell’infallibilità della Chiesa. Scrivendo poco dopo la definizione dell’infallibilità papale da parte del Concilio Vaticano I e di Papa Pio IX nel 1870, Padre Newman in parte dice questo:
“La Chiesa ha l’ufficio di insegnare, e la materia di tale insegnamento è il corpo della dottrina, che gli Apostoli hanno lasciato dietro di loro come suo possesso perpetuo. Se sorge una domanda su quale sia la dottrina apostolica su un punto particolare, essa ha l’infallibilità promessa per permetterle di rispondere correttamente. …
“Il papa deve presentarsi davanti a noi in qualche forma o postura speciale, se si deve intendere che esercita il suo ufficio di insegnamento, e questa forma è ex cathedra. … Ma quale deve essere quella cattedra morale, o cattedra di insegnamento, in cui il papa siede, quando deve essere riconosciuto come nell’esercizio del suo infallibile insegnamento?
“La nuova definizione risponde a questa domanda. He speaks ex cathedra, or infallibly, when he speaks, first, as the Universal Teacher; secondly, in the name and with the authority of the Apostles; thirdly, on a point of faith or morals; fourthly, with the purpose of binding every member of the Church to accept and believe his decision.”
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